“Se lo tieni troppo in braccio poi lo vizi!” L’importanza del CONTATTO nello sviluppo e nella costruzione della RELAZIONE
“Questo bambino è proprio furbo, se continuerai ad assecondarlo ti sciuperà!”
“Dorme ancora con voi?! più andrete avanti più sarà difficile abituarlo a dormire da solo!”
“Lo porti nella fascia?! già è difficile la separazione, così facendo lo farai diventare dipendente da te e sarà un’impresa staccartelo di dosso.”
“Sempre in braccio?! così lo vizi e di questo passo non diventerà mai autonomo”
“Lascialo piangere altrimenti poi si abitua male”
Si potrebbe andare avanti ancora per molto, elencando tutti i vari pregiudizi che purtroppo ancora oggi tendono a condizionare parecchio le nostre scelte educative e di accudimento, disorientando molti genitori che finiscono per sentirsi “sbagliati”. Spesso pare sia un problema quando un bambino sotto l’anno di età fatica a stare nella sdraietta o piange quando viene messo a terra o nel box, o quando cerca continuamente le braccia rassicuranti di chi si prende cura di lui. L’eccesso di contatto fisico tra la mamma e il suo bambino, l’allattamento oltre i primi mesi o il sonno condiviso vengono visti come fattori che possono influire negativamente sullo sviluppo del bambino.
Eppure sono davvero tanti gli studi e le ricerche che dimostrano quanto sia fondamentale il contatto nello sviluppo e nella crescita di ciascuno di noi, sia da un punto di vista fisico e motorio ma soprattutto per quanto riguarda la crescita emotiva e affettiva, il rinforzo del legame con le figure di accudimento, la costruzione della relazione e dell’autostima.
I testi specializzati ci dicono che siamo biologicamente predisposti a fondare le nostre prime relazioni sul contatto. Alessandra Bortolotti, psicologa esperta del periodo perinatale, ci guida in questa riflessione:
“Esiste un modo migliore degli altri per accudire i piccoli? Esiste un momento preciso in cui dobbiamo cominciare ad allontanarli per favorire la loro indipendenza?”
Alessandra continua:
“A queste domande posso solo rispondere con un’altra domanda: perché abbiamo così poca fiducia nei bambini e nelle loro capacità comunicative e relazionali? Perché siamo così poco disponibili ad ascoltare noi stessi da rispondere ai loro segnali emotivi con lo stesso diniego che forse abbiamo subito anche noi nell’infanzia?”
La verità è che viviamo in una società che punta all’autonomia, dove l’idea che i bambini vadano allevati con modelli basati sul distacco e sul basso contatto è molto diffusa. Tuttavia è stato confermato il contrario, ovvero che la sicurezza si costruisce con la presenza, il contatto e con l’affetto.
Si pensa che sia il distacco e l’allontanamento ad insegnare al bambino a fare da solo, in realtà se il bambino costruisce una relazione sana, sicura, forte, dove sa di poter tornare ogni volta che ne sente il bisogno per ritrovare protezione e rinforzo senza essere allontanato o rinnegato, solo con queste condizioni riuscirà davvero a diventare autonomo.
Sviluppo psicomotorio e contenimento
Anche durante il susseguirsi delle tappe dello sviluppo psicomotorio possiamo effettivamente vedere come il contatto, la vicinanza e il contenimento, non solo siano fondamentali, ma è il bambino stesso che per istinto le ricerca e le reclama soprattutto in alcune fasi di passaggio.
Infatti a partire dai sei mesi il bambino inizia in modo graduale ad acquisire sempre più autonomia a livello motorio: ha un maggiore controllo del movimento e attraverso esso inizia a sperimentare la possibilità di potersi allontanare dalla madre. Il rotolone, la posizione seduta, il gattonamento sono conquiste davvero importanti che conducono il bambino alla scoperta dell’ambiente che lo circonda. Queste prime autonomie riempiono il bambino di entusiasmo ed eccitazione, tuttavia in questa stessa fase capita spesso che molti bambini alternino a questi momenti di allontanamento, momenti in cui ricercano moltissimo il contatto con la madre, ricercando di più il seno o richiamando la sua attenzione per essere presi in braccio. Questo accade perchè il bambino non è ancora del tutto pronto alla separazione, l’ambiente che lo circonda è pieno di novità e stimoli che accendono la sua curiosità ma allo stesso tempo lo stancano e in alcuni casi lo disorientano. Ecco allora che diventa forte la necessità di tornare in un posto per lui sicuro e confortevole, dove può sentirsi di nuovo contenuto e protetto, le braccia della mamma e del papà.
Tra i 12 e i 18 mesi questo aspetto si fa ancora più forte. Quando un bambino inizia a camminare capita, per esempio, che la qualità del sonno subisca una regressione, lo si capisce perchè i bambini tendono a svegliarsi spesso, hanno un sonno disturbato e durante la notte cercano maggiormente la vicinanza del genitore. Anche in questo caso il grande entusiasmo legato all’acquisizione di questa nuova competenza così importante per il bambino, lo porta a sovreccitarsi eccessivamente durante il giorno, mantenendo questo stato di agitazione anche durante la notte. In questo momento il contenimento, il contatto e la vicinanza diventano davvero preziosi al fine di garantire un sonno più sereno e il ritorno ad uno stato di tranquillità. Questo momento è chiamato anche fase dell’avvicinamento e allontanamento o fase dell’ambivalenza. Infatti il bambino sente la necessità di allontanarsi dalla madre per sperimentare l’autonomia e la percezione di sé come essere separato dai genitori con una propria identità, tuttavia ha ancora molto bisogno di loro e per questo alterna momenti di allontanamento a momenti in cui richiede il contatto e la vicinanza, come per fare rifornimento affettivo.
Quando un bambino richiede di essere preso in braccio o manda segnali al genitore o a chi si sta prendendo cura di lui per averlo più vicino e presente, c’è sempre un motivo. In questo non esistono bambini viziati o abituati “male”, piuttosto si tratta di bambini che semplicemente stanno comunicando un bisogno che nasce da esigenze diverse, dovute da particolari fasi di sviluppo o da momenti particolari della giornata. Per esempio è piuttosto normale che un bambino richieda maggiore attenzione e più contatto da parte del genitore la sera, quando dopo una lunga giornata passata all’asilo lontano da mamma e papà ha bisogno di ritrovare conferme, rassicurazione e calore, perchè è di questo che ogni bambino si nutre. Il compito di noi adulti è quello di metterci in ascolto dei bambini, osservandoli e prestando attenzione ai loro comportamenti e alle loro richieste perche è proprio attraverso questi canali che loro comunicano con noi.
Spesso tutto questo risulta faticoso, soprattutto in quelle fasi in cui le richieste del bambino sono frequenti e intense, la sera è il momento in cui anche noi torniamo a casa scarichi, stanchi e dobbiamo ancora fare molte cose, preparare la cena, sistemare casa, preparare bagnetti e tanto altro. Se a tutto questo aggiungiamo uno o due bambini che ricercano attenzioni, fanno “capricci”, ci chiamano per essere presi in braccio o per giocare con noi, diventa davvero difficile riuscire a fare anche tutto il resto. Ciò che ne consegue è sicuramente la nostra frustrazione e spesso questo diventa un tempo vissuto con velocità e stress. Eppure dopo una giornata di lavoro, il tempo vissuto a casa dovrebbe essere un tempo di condivisione, di abbracci, di ricongiungimento e di ricarica.
Che fare allora?
Non esiste una soluzione che vada bene per tutti. Io ho provato varie strategie fino a individuare quella più adatta per noi, per la mia famiglia. Questo ha significato per me uscire dal mio schema mentale secondo il quale una volta rientrata a casa mi sentivo in dovere di sbrigare alcune faccende per stare dentro a determinati tempi e riuscire a fare tutto. Dal momento che questa organizzazione non creava un clima famigliare disteso e rilassante per nessuno, la mia soluzione è stata non mettermi troppi paletti e accettare che non sempre sarei riuscita a fare tutte le cose che mi ero prefissata, insomma ho individuato delle priorità.
Una volta rientrati a casa è diventato importante ritrovarsi, quindi quello che in concreto faccio è sedermi nello spazio di gioco del mio bambino, Elia, e stare con lui, a volte giochiamo insieme, altre ci coccoliamo molto, altre ancora lui gioca da solo e io guardo. La cosa sorprendente che ho scoperto è che questo momento non ricarica solo lui, ma ricarica molto anche me. Tutto questo significa anche rimandare a più tardi certe faccende di casa, spostare l’orario del bagnetto, a volte preparare cene un pò veloci, ma abbiamo comunque trovato un ritmo e sicuramente, la cosa più importante, è che questo tempo è diventato un tempo più funzionale, più ricco e più sereno e questo fa davvero bene a tutti noi.
Inoltre un altro aspetto che ho notato è che passando questo tempo insieme, che è variabile, a volte è un’ora, altre mezzora, altre volte ancora dura fino a quando non rientra a casa anche il papà, successivamente è possibile fare alcune cose più tranquillamente. Per esempio, riesco a preparare la cena senza essere continuamente interrotta, Elia molte volte riesce ad organizzarsi in qualche gioco da solo o si butta a giocare con il papà, insomma diciamo che il più delle volte diventa davvero un momento ricaricante per tutti e tre. Ovviamente capitano le sere più faticose in cui le cose non vanno così bene, ma questo è da mettere in conto e in ogni caso si tratta di momenti utili per riaggiustarsi.
Il consiglio che mi sento di dare rispetto a questo è quello di imparare ad ascoltare i bambini che sono sempre in comunicazione con noi, ogni comportamento, provocazione, pianto, “capriccio”, opposizione è un modo che stanno utilizzando per comunicarci un bisogno. Ma attenzione! Questo non significa assecondare ogni cosa che il bambino richiede, tuttavia se ci mettiamo in ascolto, sarà più semplice per noi dare risposte più adeguate a quella richiesta, ci permette di metterci in discussione, di uscire dai nostri schemi, di riorganizzarci nei tempi, negli spazi e negli atteggiamenti.
Per concludere, penso che nonostante viviamo in una società che valorizza la razionalità, forse a volte dovremo fidarci un po’ di più del nostro istinto. Forse dovremo pensare che più presto di quello che crediamo realizzeremo che i nostri bambini non riusciamo più a tenerli in braccio perché sono diventati grandi e non vogliono più farsi toccare. Quindi perché perdere la possibilità di viverceli a 360 gradi, connettendoci con loro, costruendo una relazione forte e sicura fatta sicuramente di limiti ma anche di tanto contatto, di vicinanza e di presenza autentica, solo perché poi potrebbero diventare bambini “viziati”?
Le relazioni sono fatte di pelle, di sguardi, di odori, di voci e di tempo passato insieme. La pelle è il più esteso dei nostri organi sensoriali, ogni suo centimetro contiene migliaia di recettori che mandano segnali al nostro cervello, ecco perché le esperienze che coinvolgono tutto il nostro corpo ci fanno sentire “interi”.
Il contatto fisico abbassa il livello di aggressività, le sensazioni mediate dal contatto e dalla pelle contribuiscono a stimolare la produzione di ormoni del benessere e del rilassamento. Quindi perché ci ostiniamo a vivere relazioni carenti sotto questo punto di vista?
E’ evidente quindi che certi luoghi comuni sull’educazione dei bambini appartengono più che altro a pregiudizi legati alla cultura di appartenenza. Una relazione che accoglie il bambino a 360 gradi, caratterizzata da un alto contatto non è una relazione “sbagliata”. Il bambino per sviluppare una buona sicurezza, una sana autostima e per diventare autonomo nell’ambiente che lo circonda deve sapere che ha un posto dove poter tornare nel momento del bisogno, un posto rassicurante pronto ad accoglierlo e a sostenerlo sempre.